Sto familiarizzando da alcuni anni con un concetto di salute diverso da quello che conoscevo, che mi era stato insegnato. Se già nel 1986 la Carta di Ottawa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolineava una nuova visione della salute e della sua promozione, devo ammettere che solo negli ultimi anni sono riuscita a ‘digerire’ ed a rendere mio questo apprendimento. Sembra davvero che l’esperienza personale e lavorativa, più della teoria, mi abbia aiutato a capire fino in fondo cosa sia la salute, su quali equilibri delicati si muovano le nostre scelte, quelle che diciamo di fare per il nostro bene, perchè ci ‘fanno stare bene’.
Da qualche tempo collaboro con un Centro Regionale, che si occupa di Prevenzione e Promozione della Salute. Quando le classi di studenti delle scuole primarie e secondarie si siedono nelle aule del Centro e guardano me ed i miei colleghi, nell'attesa di una lezione frontale in cui si aspettano che venga spiegato loro cosa è giusto e cosa è sbagliato, mi ricordo della grossa confusione che io avevo in merito, quando avevo la loro età e desideravo spesso e volentieri essere guidata ed affidarmi a qualcuno che mi desse le risposte giuste. Oggi so che non ce ne sono, che non c’è un giusto nè uno sbagliato che esistono in modo assoluto ed astratto, so che esiste il mio relazionarmi ad una certa situazione ed il mio sentire rispetto ad essa, il valore che io le attribuisco e la scelta che farò in merito, spero davvero la più giusta per me.
L’approccio del Centro spiazza i ragazzi, generalmente in modo positivo, nel momento in cui noi operatori proponiamo loro di mettersi in gioco, di dirci loro cosa sanno, cosa hanno visto, cosa pensano. Molti restano a lungo in silenzio, sembrano più che imbarazzati, proprio disabituati a prendere l’iniziativa, o meglio, a vedersi riconosciuto il diritto di prenderla e quando si parla di stili di vita, è difficile non parlare di scelte ed iniziative personali, consapevoli, responsabili.
Come mai è difficile lavorare sul tema della Prevenzione? Come mai è difficile trasmettere alle persone, giovani o mature che siano, la consapevolezza che possono davvero avere un ruolo determinante sul loro star bene, non solo di oggi ma anche del futuro? Come mai il più delle volte si finisce con il non bere alcol per paura che la sera stessa venga ritirata la patente e non per la consapevolezza che sia una sostanza che comporta dei rischi per il nostro organismo, che incide profondamente sul nostro modo di stare con gli altri e con noi stessi? Come mai non capita di pensare come un gesto quotidiano come mettere due cucchiaini di zucchero nel caffè porti, a fine anno, ad avere assunto più di un barile di zucchero, in una società divorata da malattie come il diabete o il cancro, che sono correlate alla modalità d’assunzione di questo alimento? Come mai l’essere sovrappeso o addirittura l’obesità sono tendenze in aumento nel nostro paese quando, specie quest’ultima, è correlata ad una elevata quantità di patologie, da quelle cardiocircolatorie a quelle oncologiche?
La mia sensazione è che sia difficile dirsi che sta a noi pensare alla nostra salute, forse perchè non siamo stati troppo abituati a farlo. Da anni ci sono esperti professionisti riconosciuti, con numerosi diplomi appesi alle pareti dei loro studi. È quasi facile affidarsi a loro quando si è malati, ma essi non possono intervenire là dove iniziano i problemi, là dove siamo noi a scegliere per noi stessi, spesso senza rendercene nemmeno conto, o facendoci consigliare o seguendo la scia lasciata dagli altri.
Questa condizione, che non considero esclusivamente correlata al periodo adolescenziale, ma che sento piuttosto diffusa tra amici, coetanei, colleghi, mi richiama alla mente un concetto che mi spaventa profondamente, quello dell’impotenza acquisita di Seligman e Maier. Si tratta della certezza di essere impotenti rispetto al proprio benessere ed alla propria salute, quella certezza di non avere il controllo sulla propria salute e quindi, di non esserne i primi responsabili. L’impotenza acquisita non è generalmente qualcosa di consapevole, viene piuttosto percepita dalla persona come una dato di fatto, è connessa ad un atteggiamento passivo verso i fatti della vita, di fronte ai quali l’individuo non confida di poter modificare l’andamento delle cose con le proprie azioni e riconosce ai fattori esterni il principale ruolo nel controllare e determinare gli esiti di una certa situazione. Voglio farne qui un esempio: con i ragazzi delle scuole medie mi capita spesso di utilizzare il gioco di ruolo, che è uno strumento in grado di attivare reazioni emotive profonde e di rendere attuali i conflitti che sono in gioco in determinate situazioni. Parlando di alcol ad esempio, propongo ai ragazzi d’inscenare una situazione tipo, in cui un ragazzo, che aveva promesso ai genitori di non bere alcolici, guadagnando così la loro fiducia, una volta raggiunto il gruppo di amici, fatichi a tener fede alla promessa fatta. Durante la fase delle considerazioni in merito alla scena rappresentata mi ha colpito molto che, nella maggior parte dei casi, siano gli amici ed i genitori del ragazzo ad essere ritenuti responsabili della sua condotta, i primi, perchè l’hanno tentato, insistendo e deridendolo, quasi ‘costringendolo’ a bere, i secondi perchè l’hanno lasciato uscire di casa e perchè si sono fidati di lui. Il ragazzo è quasi sempre visto come la vittima impotente.
Questa visione delle cose mi lascia perplessa e mi riporta a questo mio tema della salute, a quel concetto così variegato e così difficile ancora per molti da collegare, non semplicemente all’assenza di malattia, ma ad una dimensione di equilibrio e di benessere percepito che, oltre ad essere fisico, sia anche psicologico, relazionale e, perchè no, spirituale. Credo che molto spesso le ultime tre dimensioni, di certo le ultime due, siano poco considerate, che non siano abbastanza consapevoli il più delle volte. Dal momento che se un bisogno, una forza motrice qualunque non è consapevole....beh allora....generalmente è fuori controllo, agisce da sola ed il delicato equilibrio si perde, penso che sia impensabile perseguire la propria salute laddove se ne ignorino le componenti.
Attraverso questa esperienza lavorativa, mi sto rendendo conto di quanto ci sia bisogno di facilitare la consapevolezza dei bisogni e delle necessità e di favorire l’apprendimento di come le varie sfaccettature della salute siano estremamente collegate tra loro. Promuovere la salute per me significa proprio questo, consentire ad ogni persona di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e rinforzare la sua fiducia nel poterla migliorare.
Sono convinta che laddove l’individuo si riconosca capace di influire in modo determinante sul proprio corpo, sul proprio ambiente, sulle relazioni e sulla società, egli potrà attingere in modo consapevole alle proprie risorse personali e perseguire in modo funzionale il proprio benessere. Tuttavia se manca questa consapevolezza, egli rischia di dipendere completamente dagli altri, esperti o non esperti che siano, nella sua relazione con il proprio organismo, nel rapporto con gli altri e con se stesso, scordandosi così delle proprie risorse, delle proprie competenze e disimparando l’ascolto di sè, senza forse nemmeno rendersene conto.
Questa possibilità è davvero avvilente.