"Quando un albero è ferito, cresce attorno a quella ferita" Peter A. Levine

mercoledì 5 giugno 2013

L'ASCOLTO... QUESTO SCONOSCIUTO

Da alcuni anni incontro ragazzi adolescenti presso uno spazio d'ascolto all'interno di una realtà scolastica.
Ho incontrato ragazze e ragazzi molto diversi, che mi portavano le questioni più variegate: qualcuno veniva per la curiosità di incontrare una psicologa e vedere se era vero che avrebbe dovuto sdraiarsi sul 'lettino'., qualcuno portava la profonda difficoltà di separarsi dalla fidanzata o dal fidanzato, alla luce di un nuovo amore nascente, qualcun altro con estremo dolore mi portava la faticosa situazione familiare...il suo sentirsi schiacciato in un clima difficile, complicato, talvolta violento.. in cui crescere è ancora più difficile, oltre che rischioso.

Se penso a questa mia esperienza, in generale direi che ho incontrato ragazze e ragazzi tanto diversi ma allo stesso tempo tanto tanto soli. Non erano senza amici, ma piuttosto sembravano consapevoli che avere un amico non significa necessariamente sentirsi liberi di raccontargli qualunque cosa e credo proprio che uno dei punti in comune del bisogno portatomi dai ragazzi adolescenti che ho incontrato, fosse il desiderio, l'assoluto bisogno di 'essere ascoltati'.

Mi rendo conto che oggi la parola 'ascolto' è inflazionata, sembra che chiunque mastichi un po' di 'psicologhese' si possa dire esperto dell'ascolto.
Nell'ambito della mia formazione ho appreso che ascoltare non ha solo a che vedere con le orecchie...ascoltare significa essere in grado di cogliere lo stato d'animo dell'altro, il suo modo di vivere  e costruire la realtà, senza per questo giudicarlo, senza farlo sentire inappropriato, incapace, diverso, malato, normale, anormale, giusto o sbagliato, .....e questo non è facile, perché nel bene e nel male siamo tutti piuttosto abituati ad approcciarci agli altri attraverso il giudizio, che sia medico, personale, professionale, valoriale...
Con estrema facilità siamo pronti a dare ragione a qualcuno, torto a qualcun altro, a dire che un pensiero, uno stato d'animo è giusto, che un altro è sbagliato.

Creare uno spazio di ascolto efficace significa essere capace di porsi di fronte ad un'altra persona senza aspettative, senza dare per scontato alcunché, ma cercando di spostarsi da sé per cogliere il punto di vista dell'altro. Quando si riesce a fare questo, l'altra persona lo sente subito, sperimenta la libertà di mostrarsi e la fiducia di poterlo fare pienamente. Si tratta di un'esperienza preziosa, eppure oggi è anche estremamente rara, al punto che la fame di 'ascolto' è comune anche tra gli adulti.

Per quanto la vita oggi sia piena di mille parole, dette di persona, al telefono, scritte in chat, via sms, mail, twit, poke..o altro ancora...  talvolta la sensazione è quella di un rumore di sottofondo, una specie di ronzio che riempie ogni spazio vuoto, ma che non coglie mai nel segno, che resta in superficie.

Nelle relazioni che costruisco nello studio dove ricevo i clienti  scopro continuamente il potere dell'incontro autentico, dove l'uno si porta e l'altro lo accoglie e lo coglie.... e già questo, talvolta anche solo questo è terapeutico, perché facilita nell'altro un primo cambiamento, che deriva dal sentirsi visto veramente e dal sentirsi accolto per come è, a volte... per la prima volta dopo tanto tempo.

Spesso con un adolescente in difficoltà, è sufficiente un simile contatto, un tale incontro perché egli 'si ritrovi' e quanto è prezioso quel momento nella prevenzione di future derive e problematiche, nel prevenire aggravamenti, esordi sintomatologici, agiti autolesivi o eterolesivi.

L'ascolto profondo e non giudicante è nemico dell'isolamento e dell'alienazione, ma prima di ascoltare qualcuno che ha bisogno chiediamoci quanto siamo capaci e disposti ad ascoltare noi stessi senza pregiudizio e aspettative... è sempre un ottimo esercizio che risponde ad un monito vecchio come il monto, ovvero: 'medico, cura te stesso'... aggiungerei 'come prima cosa!'.

mercoledì 20 marzo 2013

LE EMOZIONI COME PUNTO D’INCONTRO




Sono reduce da un gruppo con adolescenti sui temi della salute e della malattia nell’ambito di un servizio che si occupa di prevenzione e promozione della salute; ecco alcune osservazioni in proposito.
Per la maggior parte dei ragazzi d’età compresa tra i 12 ed i 18 anni, è un comportamento nuovo e quasi rivoluzionario quello di stare seduti insieme a confrontarsi sui diversi punti di vista relativi ad una tematica, specie se si parla di salute.
E’ inevitabile che con la diffusione delle nuove tecnologie si sia insinuata una modalità diversa, più immediata e sempre attiva di comunicare: gli sms stessi oggi sembrano ormai obsoleti se si pensa alla chat, a what’s up, a twitter, a facebook... la maggior parte di noi è parte di una ‘famiglia’ più grande chiamata rete e lanciare il proprio cinguettio nell’etere ci fa automaticamente sentire ‘parte del tutto’, ‘parte del dialogo’, ‘parte di quello che succede’. Di fronte a questo è inevitabile che ci siano persone che credano che anche la politica possa farsi così, momento per momento, attraverso twit, chat o quant’altro.
L’immediatezza è così propria della nostra quotidianità che sembra una scoperta importante e assolutamente inedita rendersi conto che a volte il bisogno è quello di ‘stare’ nell’attesa, nell’ascolto di sé, del proprio ritmo, del proprio sentire. Oggi giorno si corre da un impegno all’altro, si passa da un corso all’altro, da un lavoro all’altro e lo stare nel ‘mezzo’ è spesso fonte di disagio, di sentimenti che vanno dalla colpa, all’inutilità, alla smania di fare........laddove sembra che ‘fare’... equivalga ad ‘essere’.
Nell’incontro con il gruppo di oggi, dopo una riflessione sul tema della salute diversi ragazzi, attoniti di fronte a me, scoprivano di aver bisogno di rallentare per prendersi spazi per stare con se stessi, con il proprio far niente, con la propria voglia di correre al proprio ritmo. Persino i primi della classe hanno cominciato ad esprimere il senso di pesantezza sperimentato in quel ‘non riuscire mai a staccare la spina’, non riuscire mai a riposare davvero corpo e mente.
È questo che sta succedendo alle nuove generazioni e forse anche a quelle precedenti? Siamo davvero convinti che correre tutto il tempo non ci faccia perdere il piacere del viaggio, quella ricchezza delle emozioni che si animano dentro di noi mentre percorriamo la nostra vita?
Oggi la sensazione è che ci sia un bisogno forte di recuperare il tempo per stare nell’incontro con se stessi e con l’altro.
Il contatto con le emozioni che spesso spaventano, soprattutto gli adulti, rende possibile l’abbandono della frenesia dell’etere, per stare semplicemente in un incontro fatto di persone e non da parole scritte su un monitor o da immagini non a fuoco che rimandano ad un viso più o meno conosciuto.
Nell’incontro di oggi, la legittimazione delle diverse sensibilità emotive ha consentito a tutti i presenti di guardarsi a vicenda in un modo diverso, molto diverso da come ci si guarda e ci si ascolta ‘online’. Nella stanza l’atmosfera era calda, gli occhi di alcuni erano più lucidi di quelli di altri, le parole acquisivano pesantezze diverse, i gesti erano in armonia con il gruppo. La capacità di alcuni partecipanti di essere più in contatto con le proprie emozioni ha facilitato gli altri in questo cammino verso se stessi, verso il proprio sentire e verso una consapevolezza più piena di sé. In quel frangente era possibile per i ragazzi riconoscere chiaramente il proprio punto di vista ed esprimerlo, senza sentirsi minacciati da quello diverso del compagno vicino. La certezza del proprio vissuto rendeva inutile ogni tentativo di consigliare, convincere, trovare risposte giuste, proprio perchè ognuno si sentiva libero di trovare la propria, la risposta giusta per sé.
Le giovani donne ed i giovani uomini, che frequentano oggi le scuole superiori, vivono l’incontro emozionale con tanta curiosità, come se non ci fossero abituati, ma ne sentissero l’utilità e questo mi stimola ulteriori riflessioni. Il bambino appena nato è assolutamente a contatto con i propri bisogni ed i propri vissuti, poi con la crescita si spoglia progressivamente di quella spontaneità per andare incontro alle richieste esterne della famiglia, degli amici, della moda, dell’etere.
Forse lasciare che permangano nella vita delle giovani donne e dei giovani uomini, ma anche dei così detti adulti, spazi in cui ci sia la possibilità di stare nelle emozioni del qui ed ora senza il bisogno di rifugiarsi nello sguardo al monitor del proprio smartphone, è consigliabile in un mondo in cui sempre più spesso si osservano persone, che pur essendo tra loro vicine, non si ‘incontrano’; che pur urlandosi addosso non si sentono, che si giudicano in silenzio mascherandosi dietro a sorrisi di convenienza o che si spengono silenziosamente oppure con clamore perchè troppo sole con i loro problemi.

Come sarebbe bello se in ogni giornata ci fosse almeno un momento in cui ognuno possa sentirsi libero di dar voce a quel che sente veramente e riuscisse a farlo nell’incontro con l’altro .... e non solo lanciando un twit!

Come sarebbe salutare .... incontrarsi di più e più a fondo.