Leggendo il saggio di Rogers (1970) sui gruppi d’incontro, sono rimasta sorpresa nel notare come, nel capitolo in cui si affrontano le tematiche della ‘persona sola’ e del vissuto della solitudine, Rogers le ricolleghi all’occultamento del vero sè interiore.
Avendo studiato psicologia presso un’Università in cui veniva dato ampio spazio all’approccio psicodinamico ed essendomi laureata con una tesi in cui ho approfondito i concetti di autenticità e falsità nella teoria psicoanalitica, ho sentito familiare la riflessione di Carl Rogers. Temi, come quello dell’alienazione, dell’uso di una maschera e del Falso sè, mi sono molto cari e risvegliano in me il ricordo di letture fatte durante la mia adolescenza, quando il vissuto d’incertezza identitaria era quotidiano ed angosciante. Ho amato molto i romanzi di Pirandello, caratterizzati da quel continuo interrogarsi sulla natura e sulle possibilità dell’autenticità e dell’essere autentici entro la molteplicità di maschere scelte od imposte dalla quotidianità. Secondo Rogers è la paura che la propria autenticità più profonda non possa essere accolta ed amata a far sì che l’individuo la occulti, vinto dal timore di mostrarsi ed incapace di assumersi questo rischio.
Rogers pone molta attenzione ad esaminare le condizioni facilitanti dello scambio autentico. Delle sue riflessioni porto con me la convinzione che la possibilità di beneficiare di un clima psicologico sicuro nell’incontro clinico agevoli il mostrarsi dell'interlocutore. Da qui immediati si pongono alcuni interrogativi, quali: come si crea un simile spazio? Che ruolo ha l’empatia nel facilitare l’incontro con l’altro? E ancora quanto l’empatia che abbiamo incontrato nelle figure significative della nostra infanzia ci ha permesso di conoscerci per ciò che realmente siamo?
In tenera età il bambino si affida alla “saggezza del corpo (Rogers, 1961, pp. 271)”.
L’infante è assolutamente al centro del proprio sistema di valutazione ed agisce in funzione del mantenimento delle situazioni gratificanti e funzionali e dell’interruzione di quelle che piacevoli non sono. Si fida inconsapevolmente di sè, è un tutt’uno con il proprio sentire, il proprio experiencing, che è preconscio e spontaneo. Questo processo di valutazione preconscia è fluido e mutevole, in costante adattamento ai bisogni ed all’esperienza attuale e non è influenzato da ciò che gli adulti di riferimento possono trovare più o meno conveniente o preferibile.
Crescendo, il bambino sviluppa progressivamente la propria identità all’interno di quella relazione parentale in cui c’è ancora indistinzione tra l'io ed il tu. In tale relazione la figura dell’educatore ha una grande responsabilità, poichè attraverso l’ascolto dei bisogni specifici del bambino e la consapevolezza di quelli da lui soddisfabili, accompagna il piccolo nel suo prenderne progressivamente consapevolezza entro il divenire quotidiano.
La relazione con le figure parentali può intaccare la saggezza originaria, determinando una limitazione e una castrazione della sua funzionalità, proprio insinuandosi attraverso costrutti valutativi del comportamento che, se non adeguatamente integrati dal contatto empatico e dal riconoscimento emotivo, favoriscono l’alienazione del piccolo da quei suoi vissuti emotivi, percepiti come inaccettabili dai genitori; oppure in altri casi il bambino distorce le emozioni provate, trasformandole in qualcosa d’altro.
La rinuncia a al proprio sentire è, secondo Rogers, l’elemento fondante ogni tipo di disturbo, poichè essa si colloca alla base di quella mancata identità tra sè organismico e sè ideale, che caratterizza l’incongruenza dell’individuo, ovvero la sua mancanza di contatto con il proprio sentire.
La capacità del genitore di riconoscere, di accettare il vissuto emotivo del bambino e di rispecchiarglielo attraverso un autentico contatto empatico favorisce nel piccolo una simbolizzazione sempre più completa delle proprie emozioni, che non devono essere così amputate o distorte. Egli impara a stare con i propri affetti e con i propri bisogni, a riconoscerne la dignità, ad ascoltarli nel loro ‘qui ed ora’ ed a gestirli.
Mi capita spesso di riflettere su quanto il recupero del contatto con la propria ‘saggezza’ originaria favorisca una condizione di benessere e ferma tranquillità interiore, che pur si erge su di un processo in costante divenire, che pulsa costantemente e del quale si ha meno timore. La piena consapevolezza di dove ci si trova favorisce il cambiamento, mediante comportamenti funzionali ed efficaci tesi alla propria realizzazione.
Rogers C.R. (1961) On becoming a person. A therapist’s view of psychotherapy, Houghton Mifflin, Boston (trad. it La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970)
Rogers C.R. (1970) On encounter groups, Harper and Row, New York (trad. it. I gruppi d’incontro, Astrolabio, Roma, 1976)
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