"Quando un albero è ferito, cresce attorno a quella ferita" Peter A. Levine
giovedì 14 luglio 2011
Abbracci caldi o freddi?
Mi riscopro a pensare alle relazioni, specie a quelle familiari. A quante energie genitori e figli spendono ed investono nello stare in famiglia, nel far parte di essa, in modo più o meno consapevole, più o meno ambivalente.
Da bambina avevo una strana attrazione per i 'quadretti familiari', mi piaceva osservare quelle famiglie 'girovaghe', che portavano i figli a fare viaggi, escursioni, che li portavano a mangiare fuori, che li coinvolgevano nei discorsi e che s'interessavano del loro stato d'animo. Mi perdevo a guardare quelle relazioni così piene nella gioia e nel dolore, dove bambini ed adulti si scambiavano abbracci e parlavano 'con il cuore in mano', parlavano del dolore, del dispiacere, parlavano di amore, di gioia, parlavano di emozioni, parlavano di quello che sentivano proprio da persona a persona e non da adulto a bambino, nè da genitore a figlio. Sentivo un profondo rispetto in quel dialogo 'alla pari'.
Eppure, più ci penso e più mi accorgo che non si trattava tanto di ciò che veniva detto, ma di ciò che intuivo, ovvero del 'calore' che sentivo nelle parole, della tenerezza degli sguardi, della decisione pacata con cui un pensiero, un vissuto veniva espresso. Sento che è soprattutto questa dimensione che crea il calore che contraddistingue certi incontri e certi abbracci.
Lavorando con gli adolescenti, ma anche con gli adulti, mi accorgo di quanto questo 'precoce' allenamento al dialogo emotivo, al confronto consapevole con il proprio sentire, sia una risorsa preziosa per muoversi nel mondo ed, a maggior ragione, per muoversi verso l'altro.
In passato mi è capitato di assistere ad un intervento di mediazione con una coppia di coniugi. Immancabilmente nel momento in cui la moglie esprimeva la sua sofferenza di fronte ad un atteggiamento del marito, lui sorrideva, la guardava e poi le faceva una domanda che nulla aveva a che fare con le emozioni, i vissuti espressi in quel momento particolare dalla signora. Di fronte a questo atteggiamento così difensivo, ho potuto toccare con mano l'estremo analfabetismo emotivo di quell'uomo, che non riusciva ad ascoltare ed a cogliere il vissuto della moglie e che in maniera goffa ed infantile cercava di uscire da quella situazione per lui faticosa e confusa. "Non ci so stare con il dolore di mia moglie, sentire il suo dolore è straziante ed inutile e preferisco evitarlo" - aveva poi dichiarato lui in un colloquio individuale. Questa espressione mi aveva fatto pensare ad un 'abbraccio freddo', di quelli che, pur avvolgendoti, non ti riscaldano e non ti fanno sentire vicino a qualcuno, ma solo cinto da qualcuno, che non riesce a sentirti.
Mi chiedo quante siano le persone che portano in sè questa fatica, che di fronte all'emozione altrui 'svicolano', 'glissano' in modo più o meno elegante, che si difendono così rigidamente dal sentire altrui e dal proprio, perchè non sono stati abituati a sentire ed a sentirsi. E considero quanto sia importante saper accogliere queste loro difficoltà, per aiutarli in un percorso di recupero del contatto con se stesse.
Infine mi chiedo che genitori riusciranno ad essere quelle persone, che sono inconsapevoli della propria alienazione? Che capacità avranno di aiutare i loro figli a non perdere di vista la ricchezza della loro vita emotiva? Come verranno accolte le emozioni dei loro bambini? Come faranno quei bambini ad imparare a riconoscerle ed a riempirle di significato?
Forse non resta che sperare che ai bambini arrivino vari tipi di abbracci, da persone diverse e che in questo carnevale di intimità più o meno emotive, queste ultime siano numerose, anche se discontinue.
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Concordo..Per fortuna gli abbracci possono essere tanti e di diverso valore. Per la mia esperienza, anche un solo abbraccio caldo di un incontro fortuito può trasmettere grande quantità di affetto e fiducia.
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