"Quando un albero è ferito, cresce attorno a quella ferita" Peter A. Levine
giovedì 25 agosto 2011
spazi di vita selvaggia
Di recente, grazie ad un viaggio all'estero, mi sono imbattuta in uno strano giardino. una metà era decorata da aiuole ordinate, fiori dall'abbinamento cromatico ricercato, cespugli finemente sagomati ed erba tagliata, l'altra metà era assolutamente selvaggia, intricata, densa, con steli d'erba freschi attorcigliati a quelli secchi e fiori di campo che qua e là lottavano per mostrarsi alla vista. Quel giardino, per altro attorno ad una chiesa dalle origini piuttosto antiche, portava un cartello 'esplicativo'.... che spiegava come deliberatamente si fosse scelto di lasciare una parte del giardino alla vita selvaggia, a haven for wildlife...
Quella scritta mi ha fatto pensare, l'ho sentita vicina..... Chi ha deciso che sia più bello un giardino ordinato e 'manufatto, rispetto ad uno 'abbandonato' a se stesso'? Già la parola abbandonato gli attribuisce un senso di degrado, di caduta.....di resa..... Che cosa si perde rinunciando a lasciar fare alla natura? Alla natura delle piante, dei fiori..... alla natura delle cose?
Mi ha colpito come questo pensiero tanto semplice, fosse di fatto per me così 'rivoluzionario', nuovo...forse per il paese e la cultura da cui provengo, forse per il mio carattere...ed allo stesso tempo ho realizzato il dono prezioso che stavo ricevendo....ovvero: un nuovo punto di vista, più aperto, più possibilista, più tollerante.
Dove releghiamo il nostro spazio per la vita selvaggia? Per quella spontaneità talvolta trasgressiva, altre volte socialmente scomoda, altre ancora....faticosa d'assecondare, solo perchè ci porta verso direzioni nuove e poco chiare?
Mi sono resa conto che la cultura del controllo di tutte le variabili, non è semplicemente poco realistica, ma è diventata deleteria ed ha condizionato pesantemente la capacità della persona di guardare al 'disordine' materiale, fisico, mentale con occhio incuriosito, affascinato, compassionevole, fiducioso.......questo accade specialmente con le persone che ci circondano. Vero è che la cultura crea schemi di costruzione della realtà che con estrema facilità diventano assoluti e che bloccano l'apertura alla diversità, agli altri modi di vedere o fare una cosa....
Il viaggio è uno strumento efficace per continuare o imparare a vedere più di un punto di vista... il contatto con culture diverse mi allena a guardare allo stesso fenomeno con più occhi, ed il viaggio nelle relazioni autentiche con gli altri...... beh.....sortisce lo stesso effetto.
Sento il bisogno di coltivare il mio paradiso per la vita selvaggia, quella fatta di spontaneità, emozioni immediate, impulsi nuovi ed inattesi, movimenti liberatori e fluidi, scelte apparentemente irrazionali...ma sentite, spazi....lasciati liberi di essere... persone accettate per quello che sono.
Quanto è pacificante tutto questo!
Quanto è in armonia con la natura!
Quanto esprime fiducia per la vita e per la sua ciclicità!
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Sto leggendo "Donne che corrono con i lupi"...e il tuo post è proprio in sintonia con i miei recenti pensieri suscitati dalla lettura in corso.. :)
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